La felicità è quanto di più desiderabile dall'uomo. Ognuno di noi la cerca disperatamente nell'arco della sua vita. Tutti la cercano eppure nessuno sa dove si trovi o dove si possa trovarla. La felicità è ciò che maggiormente orienta ogni uomo nell'effettuare le scelte della vita. Si cerca, dove possibile, di prendere la via che maggiormente ci renderà contenti e felici. La felicità esiste davvero? Esiste una ricetta?
Ormai, vivendo, ognuno di noi ha intuito che non è così facile definire cosa essa sia veramente. E’ un’emozione molto fugace che lascia posto alla soddisfazione. Questi due stati d’animo sono strettamente legati tra loro. Ogni persona felice è sicuramente soddisfatta di ciò che ha raggiunto, di ciò che ha scelto, della sua vita. La prima però non si può ridurre certo alla seconda. Si può essere soddisfatti senza essere felici. La soddisfazione è uno stato d’animo molto più a lungo termine. La felicità, infatti, è molto più breve. A volte si perde in un attimo. A volte coglie di sorpresa, si presenta e scompare, tutto in un battito di ciglia. E’ molto imprevedibile. E’ questa sua fugacità e il piacere che essa porta con sé che la rendono così desiderabile.
La via per la ricerca della felicità non è sicuramente pianeggiante, anzi è piuttosto ripida e piena di insidie. Questo perché effettivamente non si ha la certezza che questo percorso ci porti ad essa. A volte siamo solo convinti che qualcosa ci potrà portare la felicità desiderata e quando finalmente otteniamo ciò che avevamo pianificato di conquistare, ci accorgiamo che essa non è già fuggita da un’altra parte. Come trovarla dunque? Se lo sono chiesti in tanti. Certamente essa è tra le più soggettive delle emozioni. Scaturisce da diverse fonti a seconda della persona che si ha di fronte. Non si può tracciare un percorso fisso che accontenti in questa ricerca tutta l’umanità. Ci sono però diverse concezioni di essa. Ad elaborale si sono cimentati i vari filosofi e varie correnti.
Una concezione della felicità è quella epicurea. Secondo gli epicurei la felicità può essere raggiunta assecondando i desideri della carne. Questa concezione era molto in voga nell'Ottocento. Edonisti, decadentisti, esteti, dandy, flaneur e altri uomini la cui idea di vita poco si discostava da quelli citati in precedenza facevano della loro esistenza una continua ricerca della soddisfazione dei piaceri sensibili. Sono quindi anche i vizi, se non soprattutto essi, a garantire il raggiungimento di questo piacere. La soddisfazione di qualsiasi desiderio fisico era la chiave. Questa visione della vita ha però i suoi lati negativi. Può portare alla corruzione dell’anima. Si diventa essenzialmente esseri amorali e profondamente egoisti. Tutto ovviamente in nome di questa presunta felicità. Che questo stile di vita non porti al godere di un qualche tipo di felicità non è certo negabile. Il prezzo è però elevato. Si paga questo atteggiamento con altri valori che sarebbe meglio conservare. Valori che anche quando la vita sembra non sorriderci più siano comunque in nostro possesso. Oltre a perdere qualcosa di molto prezioso lungo questo cammino, possiamo addirittura perdere noi stessi.
All'opposto della ricerca della felicità come appagamento carnale vi è la ricerca di essa a livello spirituale. Ovviamente questo percorso è completamente antitetico rispetto al precedente. L’ottenimento della felicità avviene praticando l’astinenza dall'assecondare qualsiasi desiderio fisico. Sono l’umiltà, la rinuncia, il coltivare le virtù, l’astinenza e il dedicarsi agli altri a portare a una felicità concreta. Sicuramente è meno fugace di quella conseguita dagli epicurei. E’ una felicità più legata al benessere dell’anima che al benessere del corpo.
Non manca chi vede la felicità solo in senso pessimistico. Per coloro che hanno questa visione, essa è un semplice accontentarsi. Una possibile visione in negativo è quella dell’assenza del dolore. La si prova quando un dolore cessa o quando il confronto della propria condizione di normalità con quello di chi soffre porta alla consapevolezza che si è dei privilegiati. La felicità è quasi sollievo. Quello del dolore è un ruolo importante. Se, infatti, non si soffrisse o comunque non ci fosse un senso di scontentezza, non sapremmo distinguere la felicità. Perderebbe la sua bellezza, l’estasi che ci procura. Saremmo assuefatti da questo stato d’animo.
Una seconda visione in negativo potrebbe essere quella dell’attesa. La felicità altro non è che il percorso o l’attesa di raggiungerla. Quante volte proviamo una strana eccitazione pregustandoci la gioia che ci attende. Quando questa gioia arriva però delude le nostre aspettative. Stavamo meglio quando pensavamo di averla quasi raggiunta. Sebbene sia paradossale, non di rado questa ebbrezza della ricerca si insinua nel nostro animo. In questo caso si potrebbe quasi pensare che la felicità non esista davvero. E’ un fuoco fatuo. Durante la ricerca però possiamo trovare un piacere che poi identifichiamo con la felicità perché pensiamo sia lo stato d’animo che più si avvicina ad essa.
Qualunque sia la sua accezione una cosa è certa, la felicità è un valore positivo. Siamo contenti, appagati, gioiosi e spensierati quando essa si manifesta. Essere felici è bello e perciò ci imbarchiamo alla sua ricerca.