Ad ogni reato corrisponde una pena. E’ giusto che un colpevole paghi. La legge esiste per tutelare gli individui al di sotto di essa, per proteggerli e per assicurare loro che nessun torto venga da loro subito senza una giusta punizione. Una pena però non deve solo punire ma anche rieducare. Non si ha a che fare con animali ma con esseri umani, colpevoli di un reato ma pur sempre tali. Se riflettiamo sulla pena capitale, possiamo affermare che non punisce né rieduca.
La pena di morte o anche detta vendetta legalizzata era presente in tutti gli ordinamenti antichi. Dai romani ai barbari tutti concedevano di infliggere questa punizione. Infliggere a colui che aveva trasgredito le leggi una pena pari o addirittura superiore a quella inflitta sembrava più che ragionevole. Al colpevole veniva così fatto scontare ciò che lui stesso aveva arrecato ad altri, in maggior misura appunto perché questa vendetta assumesse un carattere punitivo. Bisogna però ricordare che in tempi antichi come questi non si dava lo stesso valore alla vita.
Con il passare dei secoli essa è diventata sempre più oggetto di un serio dibattito. La legge odierna condanna per omicidio e tutela i suoi cittadini da chiunque voglia privarli del bene più prezioso che possiedono, la vita appunto. Se il sistema giuridico prevede che questo bene debba essere protetto, perché con questa pratica infligge al colpevole ciò che condanna? Lo stato così facendo si mette allo stesso livello dell’assassino, uccide. Non può nemmeno giustificarsi con il motivo per cui ha ucciso, perché il motivo non conta. Non è il movente che fa si che a un colpevole di omicidio venga tolta la vita, ma è il fatto stesso che lui l’abbia portata via ad altri. E’ lo stato stesso che trasgredisce la sua legge. Se però esso si mette al di sopra di essa crea un’eccezione. La legge deve valere per tutti, nessuno escluso. Non vi sono né vi devono essere organi statali o persone che siano esentate dal rispettarla. Se un assassino uccide, il boia fa altrettanto. Perché non condannare anche lui? In fondo entrambi hanno commesso la stessa azione, uno rimane impunito e l’altro invece subisce.
La pena di morte inoltre non è una punizione adeguata. Ci si dovrebbe concentrare su due punti o scopi. Il primo è quello di punire. Più che infliggere un danno al condannato si infligge a coloro che a lui sono legati. La vita è un bene se viene vissuta. Rinchiusi in un carcere non si conduce che una vita monotona, grigia, noiosa e senza utilità. Questa vita non ha molto valore, si prospetta essa stessa come una punizione perché si viene privati delle gioie, dei divertimenti, ma anche solo della libertà di poter scegliere cosa fare. Non essere liberi è già una punizione sufficiente. Troncare una vita così grigia non è poi così punitivo. Bisogna fare inoltre una riflessione sul post morte. Non sappiamo né sapremo mai con certezza cosa c’è al di là. Se ci fosse il nulla, il condannato non farebbe altro che annullarsi. Superata la paura e la morte stessa, nulla rimarrebbe di lui. E’ questa una punizione? Non sembra tale. Se invece, come i cristiani pensano, vi è un paradiso e un inferno. L’anima in essi soggiornerebbe per l’eternità. Se già una pena ultraterrena lo aspetta per l’eternità, non sarà certo qualche anno terreno a fare la differenza. Ciò che rende davvero la pena di morte così temibile è la paura. Tutti hanno paura di morire. Ciò che la rende così insopportabile è la consapevolezza di dover morire. Trascorrere i giorni sapendo ciò a cui si va incontro.
Il secondo scopo è quello di rieducare. La pena di morte non rieduca. La pena di morte toglie la vita e basta. Ne fa apprezzare al condannato il valore. Rieducare significa invece cercare di fare comprendere ciò che di sbagliato si è compiuto, significa insegnare di nuovo a vivere in modo giusto. Nelle carceri questo è quello che si cerca di fare. Non si punisce e basta, si vuole riportare sulla retta via colui che ha infranto la legge.
L’ultimo aspetto da toccare è quello della fallibilità della legge. Spesso si condanna e si punisce chi in realtà è innocente. Si può tollerare di aver imprigionato un innocente, lo si può scagionare se lo si scopre tale. Se si condanna a morte un innocente come si fa a tornare indietro? Ancor più in questo caso lo stato si fa colpevole di un omicidio. Se mai si dovesse accettare una condanna di questo tipo, bisognerebbe farlo con la certezza che chi si punisce sia davvero colpevole.
Nonostante la pena di morte ha tutti questi difetti, viene ancora adoperata in vari stati. La battaglia per abolirla in alcuni si sta ancora combattendo. La sua rimozione tra le pene accettabili è un processo lungo ma si spera si completi a livello globale.